di Gino del Tacco
Business Insider – un giornale on-line con link ed evidenza nel sito di Repubblica – il 5 marzo scorso ha pubblicato un articolo dal titolo “Gli effetti devastanti del coronavirus sulle partite IVA: se ne parla poco, e si fa ancora meno” che comincia così:
“Tartassati, bistrattati, ultra-tassati e soggetti negli anni a una narrazione così sbagliata che li ha portati a essere percepiti da una buona fetta della popolazione come una manica di furbetti pronti a fregare il Fisco non appena si presenta l’opportunità.
I freelance, o titolari di partita IVA che dir si voglia, in realtà se la passano peggio di tutti.
L’articolo continua indicando che si è registrata una rilevante riduzione delle partite IVA, da circa 8,5 milioni a 5 milioni in 3 anni.
Il Giornale, edizione del 3 gennaio scorso, invece titolava:
La realtà non è proprio così!
Per un giornalista la verifica delle fonti dovrebbe essere la base etica del proprio lavoro ma né uno né l’altro ha verificato i dati ufficiali del MEF che, in merito specifico alle partite IVA, riporta il seguente grafico in cui si rende evidente il rapporto tra partite IVA chiuse ed aperte.
Se la linea è sotto il 100% vuol dire che il numero delle partite IVA aumenta. L’evidenza è chiara e non ammette dubbi. La perdita di 3 milioni di partite IVA è una grande bugia!
Confrontate mele con pere
Entrambe le testate giornalistiche non hanno dato rilievo al fatto che, come riportato chiaramente dal sito di BiMag (sito che ha acquisito e confrontato i dati utilizzati dagli acuti giornalisti di Business Insider e de Il Giornale), appare chiaro che sono stati confrontate … mele con pere. Numero di partite IVA con numero dei lavoratori indipendenti del 2017, che secondo Istat sono 5 milioni e 363 mila. Peccato che nel numero delle partite Iva siano comprese anche le imprese.
In questa maniera, deformando la realtà, raccontando una non realtà, chi legge è fuorviato verso gli obiettivi di chi scrive e non è informato e formato sulla realtà dei fatti.
Altro capolavoro di chiarezza, si fa per dire, lo troviamo qualche capoverso più avanti dello stesso articolo di Business Insider. Dopo varie giravolte con parecchia confusione, non si sa se sia peggio o meglio pensare che sia stata fatta per ignoranza e superficialità oppure per dolo, si arriva alla conclusione che “l’evaporazione di 3,3 milioni di partite IVA dal 2016 a oggi è avvenuto nonostante l’ampliamento, con la legge di bilancio 2019, del regime forfettario fino a 65 mila euro: ogni anno queste subiscono 100 controlli da 15 enti differenti “ e che “il principale colpevole (… omissis …) rimane la pressione fiscale sempre più pesante, che è arrivata a toccare il 64% dei profitti di una piccola partita IVA”, chiosando con ”Il prelievo medio dell’Irpef sui lavoratori autonomi è di gran lunga superiore a quello in capo ai dipendenti e ai pensionati, pari rispettivamente al 30% e al 67% in più, stando ai dati della C.G.I.A. di Mestre.
La realtà e che gli scaglioni Irpef sono UGUALI per dipendenti, pensionati e persone con partita IVA.
Ed inoltre, se analizziamo il conteggio riportato da Business Insider (vedi a lato), che arriva alla conclusione che una partita IVA che fattura 50.000 Euro deve pagare 20.858 Euro di Irpef, non è difficile dimostrare che anche questo non è vero.
Su 50.000 Euro fatturati, una partita IVA versa il 24 o 25 percento come contributi all’INPS, che non sono tasse, (i dipendenti versano all’INPS circa il 33% complessivamente, diviso tra a carico dell’azienda e a carico loro). Sull’ammontare rimanente, che a larghe spanne è al massimo pari a 37.500 Euro – senza considerare la ovvia possibilità di riduzione “scaricando” da tale cifra in tutto o in parte le spese sostenute – l’Irpef da pagare è pari 11.276 Euro, inclusa la parte regionale e comunale.